Perché Beppe Sala vi sta prendendo (ancora) in giro

L’arrocco del sindaco di Milano è un diversivo: invita tutti a posizionarsi sulla scelta di responsabilità ed evidenzia il suo carisma di uomo senza macchia, affinché le sue scelte politiche in casa Expo e la partita della città di domani, restino sullo sfondo del dibattito.

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3 min readDec 16, 2016

Per raccontare questa storia dobbiamo impostare la nostra macchina del tempo all’anno domini 2012: Antonio Rognoni era direttore generale di Infrastrutture Lombarde SpA, Beppe Sala era AD e commissario di Expo 2015, la società Mantovani aveva appena vinto (con un ribasso record del 42%!) il più generoso appalto del grande-evento…sui gradini meno ambiti del podio stazionavano le imprese di costruzioni Impregilo e Pizzarotti.

Rognoni, il primo di tanti, troppi manager vicinissimi a Sala a cadere (di lì a un anno e mezzo) nella tela della magistratura, è anche il primo ad agitare privatamente le acque: tutt’altro che disinteressato al maxi-appalto, segnala a Beppe l’anomalo “sottocosto” per la realizzazione della piastra del sito espositivo, con lo scopo di riposizionare la seconda classificata Impregilo. Stando alle sue dichiarazioni Sala, che si è sì circondato di corrotti e faccendieri ma è uomo irreprensibile, si rifiuta tanto di assecondare le mire delle imprese sconfitte invalidando l’appalto, quanto di illuminare la penombra del maxi-ribasso. Il nostro commissario straordinario sa bene quanto tempo sia stato perso dal lontano 2007 e quanto le lancette corrano in direzione del giorno di accensione dei riflettori sulla kermesse globale milanese. A colpi di acceleratore (ritocchi al regolamento del noto appalto, deroghe al codice degli appalti pubblici, decisioni commissariali che bypassano giunta e consiglio comunale, scarsa trasparenza…) lavora per traghettare l’evento verso il 1 Maggio 2015.

A partire da Ottobre 2012 i fatti finiscono all’attenzione di una procura di Milano lacerata da scontri interni che garantiranno, negli anni a venire, quella “sensibilità”, o sospensione istituzionale del giudizio, pubblicamente apprezzata dall’ex-premier Renzi. Sarà quindi la Finanza a interessarsene, e ancora l’ANAC di Cantone e oggi la procura generale. Perché le carte sono truccate?

Costretto nella morsa tra corruttori da una parte, improbabili sottocosto (presto destinati a lievitare) dall’altra, Sala era (nel 2012) nella posizione giusta per denunciare il sistema di spartizione legale e illegale che soffocava e soffoca la “capitale morale”. Allora sì che doveva auto-sospendersi: se non gli fosse stato concesso di procedere con le dovute cautele, non si sarebbe così reso complice di un gioco a detrimento dell’interesse e delle casse pubbliche, della qualità del progetto Expo e del futuro della città. Invece decide per l’accelerazione, la straordinarietà dell’occasione, in definitiva, per l’eccezione. Nutrì la sua immagine pubblica di uomo solo al comando, scegliendo di non approfondire. Il suo obiettivo primario era dimostrare che si poteva fare in tempo, bene o male ma in tempo. Su questa cultura politica, quella dell’uomo al timone che sa navigare in acque insicure al prezzo di taciti compromessi, costruì la sua candidatura a sindaco della città inventandosi un pedigree di sinistra, un lessico del “fare”, una retorica legata al cambiamento e alla governabilità al tempo stesso…ricorda qualcuno?

Il naufragio della riforma costituzionale, tra le altre indicazioni, ci consegna un sindaco senza l’immunità parlamentare di cui avrebbe goduto in qualità di senatore della Repubblica. Sala gioca, ancora una volta, la partita del posizionamento sulla sua figura, piegando il confronto in una dicotomia macchiettistica: colpevolisti dalla forca facile da un lato, fan del sindaco-manager-uomo del fare, dall’altro. Il modello di governance da lui proposto non è il tema del giorno, così come non lo era nel 2013, quando tutto fu tempestivamente denunciato (da pochi, attenti, osservatori) nel ponzio-pilatismo collettivo, ed era sì possibile cambiare radicalmente rotta.

Se dalla gestione corporate del tema periferie, degli scali ferroviari, dell’eredità del sito espositivo (gestione impermeabile a qualsiasi forma di partecipazione e decisione pubblica) non impariamo nulla oggi, ci troveremo tra qualche anno a inseguire il simulacro di dibattito tra colpevolisti e innocentisti rinunciando ancora una volta a forme di protagonismo urbano e rifiuto dell’arroganza decisionista e pubblicitaria di questa giunta. Invece è davvero in questi campi che si gioca lo scontro tra due visioni incompatibili: il diritto alla città, alla sua fruizione, a forme di sovranità popolare e municipalista; oppure l’accelerazione, l’improbabile partnership con le ferrovie dello stato, la metropoli esclusiva ed escludente, la Milano dove le cubature sono irrinunciabili ma la qualità della vita di molti è invece ipotecabile.

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